Wednesday, December 22, 2010

Alcatraz

La sera di Capodanno i detenuti potevano sentire le urla di gioia e le risate ubriache provenire dalla liberta’.

Talvolta si udivano persino le guide delle imbarcazioni turistiche parlare di loro: “Guardate: quella e’ Alcatraz, il carcere con i prigionieri piu’ pericolosi del mondo, la feccia della nostra societa’!” (Strano a credersi, ma probabilmente anche un pluriomicida schizofrenico avrebbe potuto offendersi.)

Ogni settimana, dal cortile di ricreazione, potevano ammirare San Francisco e tutta la vita che si erano negati per sempre, vicina chissa’ quanti passi, quante bracciate, quanti respiri.


Eppure, tra l’isola infelice e la terra promessa ci sono i due chilometri piu’ impercorribili nella storia della geografia. In quei due chilometri, solitamente, venivi ammazzato a colpi di fucile, investito da granate o ibernato nelle gelide acque della baia.


Tranne Frank Morris. Che, dopo aver collezionato cucchiai sotto al cuscino per anni ed essersi scavato il buco della salvezza con quel timido utensile senza reputazione, non puo’ essersi congelato nel blu dell’oceano. (E tra lui e gli squali, era piu’ cattivo lui.)


Forse ha trovato la via d’uscita dalla sua isola senza uscita. E vive alla rinfusa in qualche baracca del Sudamerica, fumando davanti alla tivu’ che trasmette una delle tante versioni della sua leggendaria evasione. Ha pensato persino di chiedere i diritti. Ma sa di non averne alcun diritto. E d'altronde nessuno sa chi e’. Se lo e’ scordato pure lui.


Perche’ forse non dobbiamo sempre pagare per i nostri errori. E non per forza abbiamo quello che ci meritiamo. Ma se fuggiamo, dovremo nasconderci. E quella che ci sembrava liberta’ e’, in realta’, un’ altra prigione.

Senza quel meraviglioso panorama.


http://www.youtube.com/watch?v=NyUokO8JTAQ




Monday, December 20, 2010

GEMELLI

Marina District. 11 am.

Il mio passeggino singolo ed individualista nuota tra multipli di se stesso: culle doppie, carrozzine triple e passeggini a castello traboccano di gemelli freschi di fecondazione assistita. Orgogliosamente sospinti da mamme bionde, ricche ed ultraquarantenni, reduci da cesareo e seduta di botox.


Mamme sempre piu’ vecchie, figli sempre piu’ uguali.

Tra quarant’anni anni saremo tutti sosia?


Scatta il brainstorming ambulante sull’evoluzione della specie.

Le ruote corrono assieme all’immaginazione.

Attori. Politici. Criminali. Direttori d’orchestra. Saranno interscambiabili. Tra fratelli di sicuro, e forse anche tra cugini.

Si tornera’ all’uso del baratto: se mi presti la fidanzata, ti faccio gli esami all’universita’, se vai a lavorare al posto mio, ti lascio l’abbonamento alla palestra.

O si fara’ di tutto per essere diversi? Ci saranno estetisti specializzati in creazione di segni particolari, tatuatori laureati in diversificazione di pelli, psicologi con master in ricerca dell’identita’, parrucchieri creativi a cui portare la foto del proprio gemello e dire “li voglio esattamente... diversi”.

Nasceranno nuove regole: non piu’ di due bambini identici per classe, non piu’ di tre passeggeri simili per aereo, presentarsi al check-in muniti di distinzione lampante.

Ed espressioni di uso corrente acquisteranno nuovo valore: ... “cerco l’anima gemella”...“ma non ci siamo gia’ visti?”... “gli uomini sono tutti uguali”...

Eppoi-a proposito di carrozzine- penso: povere nonne! Non saranno mai in grado di riconoscere un nipote dall’altro.


E d’altronde, sarebbe proprio loro la colpa, di questo gran casino.





Thursday, December 16, 2010

TRADIMENTO

Ci sono volute molte ore di aereo per venire da te, come sempre. La lunghezza del viaggio e’ stata concepita apposta, affinche’ avessi piu’ tempo per pentirmi del mio tradimento.

Ho pensato a quello che mi lasciavo alle spalle- la confortevole sicurezza di una citta’ senza sorprese- che rimpiccioliva sempre di piu’, dietro di me, perdendo quasi di senso, alla sola prospettiva di rivederti.


Mi hai fatto coprire subito. Non mi volevi nuda. Faceva freddo.

Appena ti ho vista, mi e’ tornata in mente la solita, familiare certezza: che tu sia il mio amore impossibile ed eterno.


Eravamo sole, tu ed io, in mezzo ai tuoi complicati grattacieli di specchi, che come occhi mi guardavano ovunque andassi, proteggendomi dallo sguardo indiscreto del sole.

Mi hai portato in tutti i tuoi pensieri, quelli nascosti nei vicoli stretti senza uscita, dietro le case fatiscenti, sulla cima dei cipressi, sulle guglie dei ponti.

Il soffio gelido del tuo respiro si mischiava al profumo caldo degli hot dog agli angoli delle strade, alle luci caotiche di taxi e semafori, ai rumori incessanti della gente che cammina, degli spot pubblicitari, della vita che c’e’.


Sei come un soffio di misteriosa follia, che scorre, impalpabile, attraversando la vita di chi ti desidera, dando l’illusione di esserci, pur non essendoci mai, in realta’, se non nelle sue fantasie.

Sei il grande sogno, l’immensa liberta’, l’idea perfetta che nasce dall'immaginazione di chi ti cerca, quando rincorre la felicita’.


E sara’ che forse il ponte di Brooklyn mi piace piu’ del Golden Gate, o che dal trentaduesimo piano di Central Park West anche i sensi di colpa hanno meno’ gravita’, ma penso che, in fondo, sarebbe un peccato non venire a letto con te.

Almeno una volta, New York.




Monday, December 13, 2010

Ascensori

Tra i molteplici dubbi esistenziali della mia vita, ce n’e’ uno, in particolare, che mi perseguita: ma perche’ negli ascensori di tutta l’America il piano terra si chiama "1"?

Non posso convivere con questa discrepanza logica.

Ogni volta che entro in un ascensore mi incazzo.

A volte, addirittura, prendo le scale per non dover sopportare la vista di quel pulsante privo di senso.


Nessuno degli esseri umani a mia disposizione ne ha la benche’ minima idea.

Qualcuno mi ha consigliato una vacanza.


Di primo acchito avrei detto che e’ perche’ gli americani sono ottimisti. Pare brutto farti partire da 0. Cosi, ti regalano uno scalino di partenza e ti aiutano nell’ascesa, facendoti sentire piu’ vicino alla meta. Inconsciamente, stimolano la tua realizzazione personale. Very American.


Dopo una scampagnata su Wikipedia, la mia poetica interpretazione ha lasciato il posto ad un’altra, filosofica, spiegazione.

Nel misurare l’altezza, gli europei danno importanza alla ‘verticalitá', contando i PIANI-FLOORS.

Gli Americani, invece, hanno un approccio piu’ “tridimensionale”, e misurano lo SPAZIO-STOREY. Il piano terra e’ per loro il ‘primo spazio’, il primo agglomerato di camere, il primo insieme di persone, il primo ‘mondo’. Dal momento che uno spazio esiste, sarebbe insensato chiamarlo 0.



Proprio loro, gli inventori dei grattacieli, i pionieri del sempre piu’ su’, i promotori della scalata al successo senza scrupoli, uno scrupolo se lo sono fatto. Quello di non permettersi di sminuire alcun luogo, alcun gruppo di persone, alcuno spazio geograficamente disabile.


Ripensandoci, hanno ragione loro. Come fa ad esistere un piano 0?

Zero significa niente. E sicuramente anche al piano 0 c’e’ qualcosa.

Non posso convivere con questa discrepanza logica.

Se in Europa non cambiano immediatamente sistema, mi tocca fare le scale.


http://en.wikipedia.org/wiki/Storey




Wednesday, December 1, 2010

DECORAZIONI NATALIZIE

Giraffa fosforescente. Renna con abito di velluto rosso. Presepe con tetto di neve finta. Bambola di porcellana con scarpe di vernice. Pokemon giapponese parlante. Palla da baseball made in Vietnam. Ciondolo di metallo Sex and the City 2. Angioletto di cera con aureola dorata. Reggiseno di pizzo con frase ricamata “XXXmas”.

Cheesburger di plastica all’essenza di mostarda francese.


Trovare una semplice palla di Natale e’ diventato impossibile.

Comincio a sudare freddo, con Cesare aggrappato alla gamba, che ha appena esaurito i suoi cinque secondi di silenzio quotidiano.

Sono vent’anni che non faccio un albero di Natale e non mi ero accorta che le decorazioni avessero nel frattempo subito la mutazione della specie.


Ma dove credono di andare, gli alberi, cosi’ conciati?

Sarebbe come per un essere umano avere il piercing all’ombelico, la cavigliera, l’anello al naso, la cintura d’oro, il cappello di piume, il vestito di paillettes e gli occhiali specchiati. Piu’ adatto alla Lotteria di capodanno che alla notte di Natale.


Mi manca la palla.


Nella sua rotondita’, la palla da’ un senso di pacata compiutezza.

Il luccichio pacchiano della superficie curva e’ una sintesi di pura felicita’.

Il sentimento piu’ autenticamente natalizio.


La sua grassa rotondita’ nasconde anche la sorpresa. Il mistero di ‘quello che c’e’ dentro’. Il regalo che verra’. L’euforia dell’attesa.

La palla di Natale ha un suo equilibrio perfetto, tra la familiarita’ dei ricordi piu’ cari e la gioia scintillante della novita’.

La palla e’ il passato confortevole, con la sobrieta’ delle sue forme, e il futuro che ci fa sobbalzare il cuore, con la sua leggerezza.


La palla e’ modesta. Non chiede niente. Non vuole niente. Non desidera essere niente di diverso da cio’ che gia’ e’. Cioe’ una palla.

Ma a noi dá tutto. A noi fa desiderare tutto. Di essere felici. Di fare la cosa giusta.

Di essere in pace con quello che e’ stato, e contenti di quello che verra’.


Caro Babbo Natale, quest’anno, regalami una palla.



Thursday, November 25, 2010

Black Friday

A sentirlo cosi, penseresti ad un giorno funereo.

Ed in effetti qualcuno di nero- incazzato nero- ci sara’ sicuramente oggi.

Un marito col conto prosciugato. Un padre che dovra’ ipotecare la casa. Un bambino che si e’ sputtanato il salvadanaio. Una madre che sara’ costretta alla prostituzione.


Ma per la maggioranza degli americani, il Black Friday e’ come il ballo di fine anno: il momento piu’ atteso, sognato e pianificato degli ultimi dodici mesi.


Ovvero: l’inizio dei saldi pre-natalizi. Il tripudio dello shopping. La sublimazione dell’acquisto d’impulso. L’apocalisse della ragione.

Oggi e solo oggi, i negozi aprono le porte alle 5 di mattina. Ma che dico: alle 4. Ma che dico: alle 3!

Alle 3 am, grasse signore ancora imbottite di tacchino del ringraziamento, ringraziano di essere riuscite a guadagnarsi un posto prezioso nella fila. Pianificano la corsa al reparto mutande. Ripassano il percorso per le palle di natale. Respirano lentamente per non farsi prendere dal panico e rovinare la prestazione.


Il salvagente in cashmere a due dollari e’ una questione di vita o di morte. La radio per sordomuti a nove dollari non sente ragioni. La torcia parlante, al cinquanta per cento sconto, e’ la luce alla fine del tunnel. La Bibbia con copertina specchiata diventa una questione morale.


Assieme agli sconti, i negozi offrono le strategie per l’acquisto. Le piantine dei locali. Le mappe dei prodotti. Le tattiche anti-concorrenti. Le tecniche di sorpasso.


Ci siamo. Apertura delle porte. Concerto di shopping compulsivo. La folla impazzisce. Applausi.

Trionfo del consumismo americano.



Kohl's 3 am

http://www.kohls.com/upgrade/webstore/home.jsp?pfx=pfx_google_roi&cid=aagbrand


Target: 4 am

http://www.youtube.com/watch?v=1uE-EfEXHk8


Macy’s: 5 am

http://www.youtube.com/watch?v=oxX8GT-8Zxg



Friday, November 19, 2010

Questioni di Fede

Reverenda. Sacerdotessa. Guida Spirituale. Pastore. Predicatrice. Ministra.

Quale titolo voglio?

Reverenda- e’ un parola che mi ispira.


Cartoncino, carta plastificata, placca di metallo, targa d’oro intarsiata.

Che stile scelgo?

Carta plastificata- non pecchiamo di venalita’.


E’ il momento dell’offerta: solo trenta dollari, per garantirmi la beatificazione eterna e il rispetto della comunita’ dei pubblicitari di tutto il mondo.

Il miracolo e’ compiuto: da oggi posso celebrare matrimoni, funerali e battesimi in tutti gli Stati Uniti.



Il potere di Dio non ha confini, se sei dotato di una linea web.

In America infatti, chiunque puo’ diventare funzionario religioso via internet. Ci si iscrive ad uno dei centinaia di siti che rappresentano una chiesa americana minore, si fa un corso etico online (si legge una predica e se ne ‘accettano le condizioni’), si paga con carta di credito, si sceglie il contenuto e lo stile del certificato e tre giorni dopo si puo’ camminare con la Bibbia sotto il braccio, sposare i vicini di casa gay e sotterrare il cane del dentista con cerimonie ispirate al proprio estro creativo-religioso.


L’unico dovere e’ quello di avvertire il comune di competenza, autocertificando l’integrita’ della propria morale. E comunicare alla chiesa l'eventuale cambio di indirizzo- non religioso- ma abitativo.


Non sono credente, ma credo che questo nuovo titolo fara’ una bella figura nel mio curriculum.

E se non servira’ a niente, Amen.



http://www.themonastery.org/?destination=ordination&gclid=CKGirZOLrqUCFQk8gwod0S3sXw


http://www.amfellow.org/



Monday, November 15, 2010

In My Shoes

C’e’ qualcosa di estremamente catartico nell’”appaiamento” delle scarpe.

La sera, prima di andare a letto, mentre ricompongo le mie ballerine nere l’una accanto all’altra, mi sento pervasa da una profonda tranquillita’ interiore.

In quel gesto cosi’ semplice c’e’ tutta la sicurezza della nostra vita.

Quel senso di certezza , che solo un oggetto, assieme ad un'abitudine, possono dare.

In quel gesto, c'e' l'ordine che ridiamo alla nostra disordinata esistenza.

Il controllo sul caos delle nostre faticose giornate.

Una sorta di buonanotte universale.


In quel gesto, c’e’ anche una tenera idea di casa.

Un modo per rendere piu’ nostri un albergo lontano o una citta’ straniera.

Non importa che strade abbiamo percorso, alla fine sono sempre loro, le nostre care scarpe a farci compagnia. E noi affettuosamente le rimettiamo in ordine, come quando si rimboccano le coperte a qualcuno che si ama.

Le scarpe sono pervase di un affetto e di un’identita’ tutte nostre. Sono molto piu’ intime di una camicia.


“In my shoes” dicono gli americani, per dire “nei miei panni”.

E per una volta, forse, l’inglese rende meglio l’idea.

Monday, November 8, 2010

Nord e Sud

Burini. Maleducati. Nullafacenti. Poveri. Ignoranti. Privi di senso dell’umorismo. Brutti.

Sguaiati. Fuori moda. Intellettualmente inferiori.


Non lo ammetteranno mai- senza una bottiglia di Zifandel della Napa sullo stomaco- ma gli abitanti della california del Nord pensano esattamente questo dei loro cugini sudisti.


Se abiti a Los Angeles o a San Diego, consumi troppa acqua, non fai la raccolta differenziata, guidi troppo, inquini troppo, ti diverti troppo- e non sai abbastanza.

Passi il weekend a fare surf o a bere tequila in Messico.

Probabilmente sei bionda, stupida e con le tette rifatte. O sei messicano, basso, e hai un tatuaggio della Madonna sulla chiappa.

La tua frase piu’ gettonata e’ “Hang loose”, “Hi Dude” o “Hey Buddy”.



Se abiti a San Francisco sei un radical chic, rispetti l’ambiente, mangi verdura organica, cucini polli allevati in prateria, monti pannelli solari antinebbia e chiudi il rubinetto mentre ti lavi i denti. Hai un freddo cane tutto l’anno, vai a letto alle otto e mezza e sei un genio del computer. Hai l’Aids o, in alternativa, almeno quattro labrador.



In ogni longitudine del mondo, e’ una questione di latitudine.

Ritrovarsi su paralleli diversi e’ come stare su due rette infinite che non si incontreranno mai in nessun punto.


Tuesday, October 26, 2010

Febbraio*

Il mese della neve, dei baci perugina, del cappotto di lana.

Il mese del ritorno.

Il biglietto tra le mani. Un sottile foglio di carta che cambia di nuovo la mia vita.

O forse mi riporta in quell’angolo di me dove nulla e’ cambiato.


Come un soldato che torna a casa.

Il nostro abbraccio sara’ silenzioso. Colmo di tutti i pensieri che ho custodito per te.




*Dedicato a Milano

Monday, October 25, 2010

La Casa

Stucchi faraonici. Colonne vittoriane. Decorazioni greco-romane.

E dietro tutta questa grandiosita’, uno scheletro di truciolato. Piu’ simile ad un villaggio bruciato che ad una citta’ imperiale.


Le case americane sono come gli americani. Di primo acchito avrei detto: spettacolari.


Ma ripensandoci, dico: temporanee.

C’e qualcosa di tremendamente provvisorio in quel simbolo- la casa- che per noi italiani e’ cosi’ eterno.

Quello che per noi e’ mattone, per loro e’ compensato. Quello che per noi e’ radice, per loro e’ ramo al vento.


E’ la sindrome del Far West. L’idea che ci sia sempre qualcosa di piu’ lontano da conquistare. L’innata convinzione che la felicita’ sia movimento, cambiamento, evoluzione.


E’ la bandiera americana infilata nella sabbia. Fragile come un muro di carta.









Friday, October 22, 2010

Marketing Virale

Faccio sesso. Viaggio. Vado a fare shopping.

Ho una certa reputazione.


Non mi nascondo piu’, anzi, vado quasi di moda.


All’inizio e’ stata dura, la gente mi giudicava.

Poi sono entrato nella loro vita.

Se sai come prendermi, non ti lascio piu’.


Si compiace, Il Virus, sorseggiando un Bloody Mary nella sua jacuzzi di sangue bollente, mentre fa la diagnosi della sua esistenza.


A San Francisco l’HIV ha un trattamento speciale.

Te lo propongono anche mentre ti provi i jeans o bevi la camomilla.

Cassiere in camice bianco, insegne al neon ospedaliero, volantini in formato cartella clinica: bar e negozi di abbigliamento offrono il test gratuito, decretando l’ingresso del Virus nella nostra piu’ normale quotidianita’.


Il sindaco-primario ha eseguito una radiografia metropolitana, evidenziando i quartieri a piu’ alta viralita’- i 'reparti' con il sangue piu’ cattivo- ed ha prescritto fondi speciali per curare la citta’.


Un’epidemia di trasparenza. Sintomo di una grande civilta’.

Che ci costringe tutti ad essere un po’ piu’ pazienti.

E a pensare positivo.


http://colorlines.com/archives/2009/11/sf_communities_of_color_still_lag_in_aids_treatment.html




Tuesday, October 19, 2010

Arrivi

DLIN, DLON.

San Francisco International Airport.

Il volo da Francoforte e’ infilato tra quelli da Shangai, Singapore, Osaka e Seul.

Albini e asiatici si mischiano in un fiume di razze umane con valigia. I tedeschi si riconoscono dalle lentiggini e dalle scarpe orrende. I cinesi viaggiano in grappoli da venti e si parlano addosso come se si stessero lanciando frecce di insulti. Le giapponesi esplodono di colori e viaggiano con solo bagaglio a mano- avendo gia’ addosso l’intero guardaroba. I coreani non li distinguo- fanno parte di quella categoria orientaleggiante indefinita, quasi metaforica.



In un’altra vita, avrei gareggiato con gli omini dei cartelli per guadagnarmi un posto davanti alla balaustra e festeggiare l’arrivo dei suoceri con esclamazioni fuori luogo e frasi bislacche.

In questa vita americana, invece, mi prendo un caffe’ e mi siedo sulle poltrone davanti all’uscita, dove e’ stato piazzato un mega schermo che riprende i passeggeri in arrivo con un anticipo di trenta secondi- grazie a telecamere strategicamente piazzate prima del varco.

L’idea di scoprire in anteprima che foulard indossi mia suocera mi manda in fibrillazione.



I passeggeri mi sembrano comparse di quei film anni ottanta di serie b, quelli in cui nemmeno il protagonista e’ un attore noto.

Distinguo solo le espressioni facciali dei poveretti a cui hanno mandato il bagaglio in Groenlandia ed ora sono condannati allo shopping di mutande.



Il tempo vola.

Ma la tv tiene a terra l’emozioni.

Allaccio la cintura di sicurezza e spengo ogni dispositivo di elettricita’ positiva.

Sara’ l’abitudine, sara’ il cinquantadue pollici, ma non c’e’ piu’ brivido.

La tecnologia ha ucciso la sorpresa.

E all’arrivo, i miei motori sono gia’ spenti.





Tuesday, October 12, 2010

Privacy*

Privazione.

Silenzio.


Essere privati di un amico.

Essere privati della vita’ che verra’, quando hai solo due anni.

Essere privati della risposta giusta, quando Cesare mi chiedera’ che fine ha fatto Charlie.

Essere privati di un senso. Con la morte che ti coglie di notte, mentre sogni il mare e lo zucchero filato. Tieni in mano il tuo ciuccio azzurro e sai che forse, domani, non si va a scuola.



Voglio mandare una lettera.

E ne ricevo una. Che certifica l’assoluta estraneita’ dell’asilo con l’eventuale natura batterico-virale dell’incidente.


Voglio mandare un messaggio.

E ne ricevo molti: non disertare la scuola, non andare nel panico, non fare causa, non chiedere rimborsi.


Voglio sapere l’indirizzo.

“Ci spiace. Non e’ possibile.

Questione di privacy.”






* Goodbye Charlie


Friday, October 8, 2010

Cosa Vuoi Fare da Grande?

Oliver. 3 anni.

Monopattino arrogante edizione Harry Potter. Maglietta nera “Too Cool for School” con esplosione di marmellata. Caschetto biondo fatto in casa- stile frate francescano. Unghie sporche di fango ed altri detriti di origine indefinita. Bocca incorniciata da pasticcio di caramelle alla fragola. Cartella verde pisello firmata Shrek.


Oliver e’ al suo primo giorno di scuola. Sta entrando ad Harvard.


La sua vita e’ un pezzo di straziante, drammatica letteratura: ogni pomeriggio che passera’ a giocare a baseball, ogni barbecue del 4 luglio, ogni spegnimento di candeline, ogni fantasia sulla compagna di banco, ogni illusione sul futuro, ogni amicizia, ogni sogno, ogni frammento della sua giovinezza avranno una spontaneita’ fittizia. Perche’ ognuno di quei momenti ha gia’ un destino segnato. Una destinazione inesorabile: Wall Street, La Casa Bianca, o al massimo, la Coca Cola.


Dal punto di vista matematico, infatti, il lavoro che trovera’ e’ un logaritmo dell’universita’ che avra’ frequentato, che e’ direttamente proporzionale al liceo, una derivata delle medie, risultato di una somma tra le elementari e l’asilo.

In pratica, la scuola materna influenzera' per sempre la sua possibilita’ di avere successo. Questa e’ la filosofia del sistema educativo statunitense.


La storia e’ semplice: in America le scuole sono come il collegio, cominciano a tre anni e finiscono a diciotto. Conviene scegliere bene da subito.

Le istituzioni pubbliche non offrono accesso alle migliori universita’, pur vantando di esclusivi metal detector ed eccitanti, sporadiche, sparatorie.

Le scuole private, invece- alla modica cifra di venticinque mila dollari all’anno, piu’ centocinquanta per l’universita’- garantiranno ad Oliver un attico a New York, vacanze in Europa ed una fidanzata snob e rompicoglioni.



Nessuno glielo chiedera’ mai, ma forse, per mezzo milione di dollari, Oliver preferiva fare il pompiere.



http://www.hamlin.org/admission/affording-hamlin/index.aspx

Saturday, October 2, 2010

La Franklin

3 Chilometri in 100 secondi.


L’arteria piu’ viva di San Francisco, dove tutto scorre all’infinito: mamme cariche di mocciosi, tassisti incazzati, turisti imprigionati nelle cartine, pendolari sbadiglianti, giovani di indefinita fretta, ciclisti suicidi.

Rumori, brividi, pericoli, soddisfazioni. Malumori, vento e felicita’.


La Franklin e’ come la vita.

Una discesa inesorabile verso l’oceano. Una strada a senso unico che ti riportera' a casa.


Enjoy the Ride.


http://maps.google.com/maps?f=s&utm_campaign=en&utm_source=en-ha-na-us-bk-gm&utm_medium=ha&utm_term=google%20map


http://www.youtube.com/watch?v=3IIZLxSS0hA



Wednesday, September 29, 2010

Specchietto Retrovisore

Guardarsi indietro non e’ mai stato cosi’ bello.


La cosa sorprende anche me, incallita nostalgica.

Io che nel giorno del mio diciottesimo compleanno rimpiangevo la passata giovinezza.

Io che mi siedo a guardare il mare e tiro fuori un vecchio film dalla biblioteca mentale dei ricordi.

Io che allungo la strada per tornare a casa, solo per riascoltare una canzone. Per ripensare ad un momento. Per riassaporare un bacio. Per rivedere un vecchio amico.


San Francisco offre un’ ottima scusa per guardarsi indietro.

Un’incredibile visuale dallo specchietto retrovisore.


Un sali scendi di asfalto inondato dal sole, una striscia continua di case appuntite, che sembrano sgomitare tra loro per farsi spazio verso il cielo. Distese ordinate di alberi e marciapiedi di rose. In lontananza, l’azzurro della baia costellata di vele bianche e kite fosforescenti.

Eppoi, la citta’ che ti respira addosso: un vento che non si vede, ma c’e’ sempre, e sospinge il tuo viaggio tra le colline, dandoti l’illusione di volare.


Il risultato e’ un’ altalena mozzafiato, un paese delle meraviglie da cui non riesci a distogliere lo sguardo.

Come uno di quei quadri dalla prospettiva distorta, che pare disegnato dal cappellaio matto per confondere le idee.


Una composizione piena di errori, che nel suo complesso sembra perfetta.

Come un ricordo.




Tuesday, September 28, 2010

Si', Viaggiare

Semaforo rosso. La mia Ford si guarda attorno con i suoi fanali abbaglianti.

Jeep blu: quarantenne rifatta con sottofondo alla Britney Spears. Lexus monovolume: famigliola felice in fibrillazione al ritmo del qua qua. Mustang nera: messicano con baffi, imprigionato nella Salsa. In lontananza: Chevrolet bianca a base di country con vecchio a bordo. Attraversamento pedonale: corridore gay con Ipod, in probabile ascolto di Best of Celine Dion.


La mia Ford Edge ha un'aria diversa.

Non e’ mai stata a Sanremo, ma e’ come se si fosse fatta le ultime venti edizioni parcheggiata in prima fila.

Mi ricorda quelle adolescenti che sanno tutte le canzoni a memoria e al concerto lanciano i reggiseni sul palco.

Al semaforo, la mia Ford si tira giu’ i finestrini e mostra la pelle. Ogni tanto lancia pure i tappetini. Fa la smorfiosa coi tergicristalli. E canta in italiano.


E’ la tipica sidrome da emigrante: l’idealizzazione della propria patria, e, tra le altre idiozie, della propria musica.

Sally tiene compagnia sul Golden Gate. Jovanotti incuriosisce i passanti. Samuele Bersani mi spacca il cuore. Mina mi fa ricordare un amore grande grande. Carmen Consoli mi deprime un po’.

L’acqua del pacifico sembra piu’ chiara, con Battisti.Il vento, al tramonto, e' un Tiromancino. Alessandra Amoroso mi ricorda di telefonare alla mamma.


E cosi’, ignara e felice- come un turista tedesco in costume a dicembre o un americano che mangia spaghetti scotti a Siena- la mia Ford Edge ha imparato ad amare questa mediocre italianita’, senza aspettarsi di meglio.


In fondo, proprio come a me, a lei piacciono. Anche se sono solo canzonette.



http://www.youtube.com/watch?v=AiAwYSsQ7JE&p=CC38BA5777F27469&playnext=1&index=19

http://www.youtube.com/watch?v=i5BkVadlA30

http://www.youtube.com/watch?v=eJ9vjSeajdA

http://www.youtube.com/watch?v=rKBeIwXE5gs (so Nineties!)

http://www.youtube.com/watch?v=H2R_YoGJcww