Tuesday, October 19, 2010

Arrivi

DLIN, DLON.

San Francisco International Airport.

Il volo da Francoforte e’ infilato tra quelli da Shangai, Singapore, Osaka e Seul.

Albini e asiatici si mischiano in un fiume di razze umane con valigia. I tedeschi si riconoscono dalle lentiggini e dalle scarpe orrende. I cinesi viaggiano in grappoli da venti e si parlano addosso come se si stessero lanciando frecce di insulti. Le giapponesi esplodono di colori e viaggiano con solo bagaglio a mano- avendo gia’ addosso l’intero guardaroba. I coreani non li distinguo- fanno parte di quella categoria orientaleggiante indefinita, quasi metaforica.



In un’altra vita, avrei gareggiato con gli omini dei cartelli per guadagnarmi un posto davanti alla balaustra e festeggiare l’arrivo dei suoceri con esclamazioni fuori luogo e frasi bislacche.

In questa vita americana, invece, mi prendo un caffe’ e mi siedo sulle poltrone davanti all’uscita, dove e’ stato piazzato un mega schermo che riprende i passeggeri in arrivo con un anticipo di trenta secondi- grazie a telecamere strategicamente piazzate prima del varco.

L’idea di scoprire in anteprima che foulard indossi mia suocera mi manda in fibrillazione.



I passeggeri mi sembrano comparse di quei film anni ottanta di serie b, quelli in cui nemmeno il protagonista e’ un attore noto.

Distinguo solo le espressioni facciali dei poveretti a cui hanno mandato il bagaglio in Groenlandia ed ora sono condannati allo shopping di mutande.



Il tempo vola.

Ma la tv tiene a terra l’emozioni.

Allaccio la cintura di sicurezza e spengo ogni dispositivo di elettricita’ positiva.

Sara’ l’abitudine, sara’ il cinquantadue pollici, ma non c’e’ piu’ brivido.

La tecnologia ha ucciso la sorpresa.

E all’arrivo, i miei motori sono gia’ spenti.





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