Monday, May 9, 2011

CAMBIO DI INDIRIZZO

Da San Francisco a Milano e' cambiato l'indirizzo.
Si chiude il blogdiblo 'americano', si portano via i mobili e si paga il padrone di casa.
Ma si apre una nuova dimora italiana, si va all'Ikea a ricomprare tende e tappeti, si torna a mangiare la pasta al sugo e la pizza alla Sibilla.
Seguite Blo al nuovo indirizzo
http://gogreen.myblog.it/
su Virgilio

la mia rubrica si chiama Greentrotter e trovate i miei pezzi firmati (sapete tutti come mi chiamo!)
esco il lunedi e il giovedi!

un bacio a tutti
non dimentichero' mai i miei primi amati fans.

Sunday, January 2, 2011

Google

Sarebbe potuto essere un giorno come un altro. Io avrei scritto cose tipo “possibili conseguenze-gravi- del mal di gola”, “lezioni di rollerblades alla marina”, “ricetta elementare per vellutata di piselli”, “orari festivi di Victoria’s Secret”...... e tu lo avresti trovato, alimentando la mia inesauribile ipocondria, o l’ improvvisa voglia di novita’, o il mio delirio domestico.


E invece, oggi, mentre tu cercavi il tuo solito miliardo di parole in giro per il mondo, io ho trovato te.


E’ stato come andare sulla luna o scoprire il santo Graal. Elettrizzante. Esclusivo. E non cosi’ faticoso*.


Googleplex. Un incrocio tra una colonia indiana ed un villaggio vacanze per tecnici del computer.

Orientali con la faccia intelligente. Hackers occhialuti con i brufoli. Ingegneri sudati con il panino sotto al braccio.

Tutti con il cartellino. Marchiati come prigionieri, e mesti, come prigionieri.


E non importa quanti ristoranti ci sono, e quanti tavoli da biliardo, e quante biciclette gratuite, perche’ c’e’ un qualcosa di innatamente e palesemente sfigato che pervade l’universo dei cervelloni.

E’ la genialita’ che isola. La timidezza che rende soli. L’arroganza che costruisce un mondo lontano ed intoccabile. E davvero poco affascinante.



Piove, e gli ombrelloni colorati mi fanno tristezza. Nessuno ride, nessuno si diverte. Tutti corrono da una parte all’altra senza parlarsi. Mangiano. E forse vivono li’.

E’ evidente: lavorare per Google non e’ come avere Google che lavora per te.


Penso che avrei quasi preferito non incontrati mai e continuare ad immaginarti come il paese dei balocchi.

Ma d’altronde, chi cerca, trova.




Av


*San Francisco- Mountain View: 30 chilometri

Wednesday, December 22, 2010

Alcatraz

La sera di Capodanno i detenuti potevano sentire le urla di gioia e le risate ubriache provenire dalla liberta’.

Talvolta si udivano persino le guide delle imbarcazioni turistiche parlare di loro: “Guardate: quella e’ Alcatraz, il carcere con i prigionieri piu’ pericolosi del mondo, la feccia della nostra societa’!” (Strano a credersi, ma probabilmente anche un pluriomicida schizofrenico avrebbe potuto offendersi.)

Ogni settimana, dal cortile di ricreazione, potevano ammirare San Francisco e tutta la vita che si erano negati per sempre, vicina chissa’ quanti passi, quante bracciate, quanti respiri.


Eppure, tra l’isola infelice e la terra promessa ci sono i due chilometri piu’ impercorribili nella storia della geografia. In quei due chilometri, solitamente, venivi ammazzato a colpi di fucile, investito da granate o ibernato nelle gelide acque della baia.


Tranne Frank Morris. Che, dopo aver collezionato cucchiai sotto al cuscino per anni ed essersi scavato il buco della salvezza con quel timido utensile senza reputazione, non puo’ essersi congelato nel blu dell’oceano. (E tra lui e gli squali, era piu’ cattivo lui.)


Forse ha trovato la via d’uscita dalla sua isola senza uscita. E vive alla rinfusa in qualche baracca del Sudamerica, fumando davanti alla tivu’ che trasmette una delle tante versioni della sua leggendaria evasione. Ha pensato persino di chiedere i diritti. Ma sa di non averne alcun diritto. E d'altronde nessuno sa chi e’. Se lo e’ scordato pure lui.


Perche’ forse non dobbiamo sempre pagare per i nostri errori. E non per forza abbiamo quello che ci meritiamo. Ma se fuggiamo, dovremo nasconderci. E quella che ci sembrava liberta’ e’, in realta’, un’ altra prigione.

Senza quel meraviglioso panorama.


http://www.youtube.com/watch?v=NyUokO8JTAQ




Monday, December 20, 2010

GEMELLI

Marina District. 11 am.

Il mio passeggino singolo ed individualista nuota tra multipli di se stesso: culle doppie, carrozzine triple e passeggini a castello traboccano di gemelli freschi di fecondazione assistita. Orgogliosamente sospinti da mamme bionde, ricche ed ultraquarantenni, reduci da cesareo e seduta di botox.


Mamme sempre piu’ vecchie, figli sempre piu’ uguali.

Tra quarant’anni anni saremo tutti sosia?


Scatta il brainstorming ambulante sull’evoluzione della specie.

Le ruote corrono assieme all’immaginazione.

Attori. Politici. Criminali. Direttori d’orchestra. Saranno interscambiabili. Tra fratelli di sicuro, e forse anche tra cugini.

Si tornera’ all’uso del baratto: se mi presti la fidanzata, ti faccio gli esami all’universita’, se vai a lavorare al posto mio, ti lascio l’abbonamento alla palestra.

O si fara’ di tutto per essere diversi? Ci saranno estetisti specializzati in creazione di segni particolari, tatuatori laureati in diversificazione di pelli, psicologi con master in ricerca dell’identita’, parrucchieri creativi a cui portare la foto del proprio gemello e dire “li voglio esattamente... diversi”.

Nasceranno nuove regole: non piu’ di due bambini identici per classe, non piu’ di tre passeggeri simili per aereo, presentarsi al check-in muniti di distinzione lampante.

Ed espressioni di uso corrente acquisteranno nuovo valore: ... “cerco l’anima gemella”...“ma non ci siamo gia’ visti?”... “gli uomini sono tutti uguali”...

Eppoi-a proposito di carrozzine- penso: povere nonne! Non saranno mai in grado di riconoscere un nipote dall’altro.


E d’altronde, sarebbe proprio loro la colpa, di questo gran casino.





Thursday, December 16, 2010

TRADIMENTO

Ci sono volute molte ore di aereo per venire da te, come sempre. La lunghezza del viaggio e’ stata concepita apposta, affinche’ avessi piu’ tempo per pentirmi del mio tradimento.

Ho pensato a quello che mi lasciavo alle spalle- la confortevole sicurezza di una citta’ senza sorprese- che rimpiccioliva sempre di piu’, dietro di me, perdendo quasi di senso, alla sola prospettiva di rivederti.


Mi hai fatto coprire subito. Non mi volevi nuda. Faceva freddo.

Appena ti ho vista, mi e’ tornata in mente la solita, familiare certezza: che tu sia il mio amore impossibile ed eterno.


Eravamo sole, tu ed io, in mezzo ai tuoi complicati grattacieli di specchi, che come occhi mi guardavano ovunque andassi, proteggendomi dallo sguardo indiscreto del sole.

Mi hai portato in tutti i tuoi pensieri, quelli nascosti nei vicoli stretti senza uscita, dietro le case fatiscenti, sulla cima dei cipressi, sulle guglie dei ponti.

Il soffio gelido del tuo respiro si mischiava al profumo caldo degli hot dog agli angoli delle strade, alle luci caotiche di taxi e semafori, ai rumori incessanti della gente che cammina, degli spot pubblicitari, della vita che c’e’.


Sei come un soffio di misteriosa follia, che scorre, impalpabile, attraversando la vita di chi ti desidera, dando l’illusione di esserci, pur non essendoci mai, in realta’, se non nelle sue fantasie.

Sei il grande sogno, l’immensa liberta’, l’idea perfetta che nasce dall'immaginazione di chi ti cerca, quando rincorre la felicita’.


E sara’ che forse il ponte di Brooklyn mi piace piu’ del Golden Gate, o che dal trentaduesimo piano di Central Park West anche i sensi di colpa hanno meno’ gravita’, ma penso che, in fondo, sarebbe un peccato non venire a letto con te.

Almeno una volta, New York.




Monday, December 13, 2010

Ascensori

Tra i molteplici dubbi esistenziali della mia vita, ce n’e’ uno, in particolare, che mi perseguita: ma perche’ negli ascensori di tutta l’America il piano terra si chiama "1"?

Non posso convivere con questa discrepanza logica.

Ogni volta che entro in un ascensore mi incazzo.

A volte, addirittura, prendo le scale per non dover sopportare la vista di quel pulsante privo di senso.


Nessuno degli esseri umani a mia disposizione ne ha la benche’ minima idea.

Qualcuno mi ha consigliato una vacanza.


Di primo acchito avrei detto che e’ perche’ gli americani sono ottimisti. Pare brutto farti partire da 0. Cosi, ti regalano uno scalino di partenza e ti aiutano nell’ascesa, facendoti sentire piu’ vicino alla meta. Inconsciamente, stimolano la tua realizzazione personale. Very American.


Dopo una scampagnata su Wikipedia, la mia poetica interpretazione ha lasciato il posto ad un’altra, filosofica, spiegazione.

Nel misurare l’altezza, gli europei danno importanza alla ‘verticalitá', contando i PIANI-FLOORS.

Gli Americani, invece, hanno un approccio piu’ “tridimensionale”, e misurano lo SPAZIO-STOREY. Il piano terra e’ per loro il ‘primo spazio’, il primo agglomerato di camere, il primo insieme di persone, il primo ‘mondo’. Dal momento che uno spazio esiste, sarebbe insensato chiamarlo 0.



Proprio loro, gli inventori dei grattacieli, i pionieri del sempre piu’ su’, i promotori della scalata al successo senza scrupoli, uno scrupolo se lo sono fatto. Quello di non permettersi di sminuire alcun luogo, alcun gruppo di persone, alcuno spazio geograficamente disabile.


Ripensandoci, hanno ragione loro. Come fa ad esistere un piano 0?

Zero significa niente. E sicuramente anche al piano 0 c’e’ qualcosa.

Non posso convivere con questa discrepanza logica.

Se in Europa non cambiano immediatamente sistema, mi tocca fare le scale.


http://en.wikipedia.org/wiki/Storey




Wednesday, December 1, 2010

DECORAZIONI NATALIZIE

Giraffa fosforescente. Renna con abito di velluto rosso. Presepe con tetto di neve finta. Bambola di porcellana con scarpe di vernice. Pokemon giapponese parlante. Palla da baseball made in Vietnam. Ciondolo di metallo Sex and the City 2. Angioletto di cera con aureola dorata. Reggiseno di pizzo con frase ricamata “XXXmas”.

Cheesburger di plastica all’essenza di mostarda francese.


Trovare una semplice palla di Natale e’ diventato impossibile.

Comincio a sudare freddo, con Cesare aggrappato alla gamba, che ha appena esaurito i suoi cinque secondi di silenzio quotidiano.

Sono vent’anni che non faccio un albero di Natale e non mi ero accorta che le decorazioni avessero nel frattempo subito la mutazione della specie.


Ma dove credono di andare, gli alberi, cosi’ conciati?

Sarebbe come per un essere umano avere il piercing all’ombelico, la cavigliera, l’anello al naso, la cintura d’oro, il cappello di piume, il vestito di paillettes e gli occhiali specchiati. Piu’ adatto alla Lotteria di capodanno che alla notte di Natale.


Mi manca la palla.


Nella sua rotondita’, la palla da’ un senso di pacata compiutezza.

Il luccichio pacchiano della superficie curva e’ una sintesi di pura felicita’.

Il sentimento piu’ autenticamente natalizio.


La sua grassa rotondita’ nasconde anche la sorpresa. Il mistero di ‘quello che c’e’ dentro’. Il regalo che verra’. L’euforia dell’attesa.

La palla di Natale ha un suo equilibrio perfetto, tra la familiarita’ dei ricordi piu’ cari e la gioia scintillante della novita’.

La palla e’ il passato confortevole, con la sobrieta’ delle sue forme, e il futuro che ci fa sobbalzare il cuore, con la sua leggerezza.


La palla e’ modesta. Non chiede niente. Non vuole niente. Non desidera essere niente di diverso da cio’ che gia’ e’. Cioe’ una palla.

Ma a noi dá tutto. A noi fa desiderare tutto. Di essere felici. Di fare la cosa giusta.

Di essere in pace con quello che e’ stato, e contenti di quello che verra’.


Caro Babbo Natale, quest’anno, regalami una palla.